mercoledì 7 settembre 2016

Divines

Un fatto è certo: i film che vincono la Caméra D'Or (il premio per la miglior opera prima) al Festival di Cannes, sono quasi sempre dei grandi film. 
Qualche esempio negli anni: Stranger than paradise di Jim Jarmusch, Toto le Héros di Jaco Van Dormael, Me and You and Everyone we know di Miranda July, Samson and Delilah di Warwick Thornton e, su tutti, Hunger di Steve McQueen. Stare per la prima volta dietro la macchina da presa e riuscire a creare un film speciale, importante, e che faccia la differenza, è ancora più difficile per un absolute beginner.
Si intuisce, dietro queste opere, un desiderio incredibile di riuscire a dire tutto quello che si ha da dire (casomai non ce ne fosse un'altra, di occasione), una spinta creativa di potenza superiore, una libertà e a volte un'ingenuità che ne fanno un prodotto a cui si vuole bene da subito in maniera spontanea e totale.
Il film che ha vinto quest'anno la Caméra D'or rientra perfettamente nella categoria: Divines della regista francese (di origine marocchina) Houda Benyamina.
Dounia e Maimouna sono due ragazze della banlieu parigina. La prima vive con la madre (spesso ubriaca e di facili costumi) in una baraccopoli stretta tra l'autostrada e degli orrendi palazzoni HLM, e Maimouna proprio in uno di quei palazzoni con dei genitori super religiosi (il padre è l'imam della Moschea locale). Entrambe sanno che il futuro non ha in serbo un granché, per loro, e Dounia decide di passare all'attacco chiedendo lavoro a Rebecca, la pusher più famosa e cazzuta del quartiere. Le ragazze se la cavano bene e cominciano a fare un po' di soldi, e Dounia si innamora di un ballerino, che osserva danzare di nascosto nel retro di un teatro, dove lei custodisce quello che guadagna. Ma la fortuna, ad un certo punto, smette di girare per il verso giusto. E la vita chiede un prezzo altissimo da pagare.

Negli ultimi anni non sono mancati, qui in Francia, film sulle periferie parigine, e uno dei più incisivi aveva già come protagoniste un gruppo di ragazze (Bande de Filles di Céline Sciamma), Divines però ha quel qualcosa in più che fa la differenza. Un eccesso di vitalità che deborda da ogni particella dello schermo, che qualche volta rasenta il prosaico e qualche volta il sublime. La cosa irresistibile è il desiderio sfrenato di Dounia di emanciparsi dalla realtà di miseria in cui vive. E’ talmente chiaro che questa possibilità non gliela darà la scuola (la scena divertente ma lucidissima in cui Dounia deve far finta di essere la receptionist di una qualsiasi ditta, come se il massimo a cui le ragazze di periferia possano ispirare fosse proprio un lavoro di questo tipo), e talmente chiaro che il modo più rapido (anche se non indolore) di riuscire a fare soldi sia buttarsi in loschi traffici. 

Divines è una sorta di La Haine al femminile 20 anni dopo, con l'aggravante che niente sembra essere migliorato, per la gente delle banlieu: Fin qui, tutto male, per parafrasare  il famoso tormentone del film di Kassovitz. 
Nel film della Benyamina, se non altro, si assiste ad una sana inversione di ruoli: il leader più tosto e carismatico  è Rebecca, una ragazza nera che sembra uscita da Goodfellas, furba e impietosa, regina incontrastata dello spaccio di droga del quartiere, e con uno stuolo di uomini a sua disposizione. La dolcezza, l’amore e l’unica altra alternativa possibile allo schifo che c'è intorno, ovvero l’arte, sono invece incarnati da un uomo, il ragazzo di cui Dounia si innamora, un banlieusard come lei che però ha trovato nella danza la sua via di fuga. 
Divines è un film durissimo che lascia poche speranze (per non dire nessuna) ma che regala momenti straordinari: le scene di danza filmate dall’alto, il “finto” viaggio in Ferrari, l’amicizia “à la vie à la mort” delle due ragazze. E' un film potente fatto di lacrime e sangue, dietro il quale si indovina la forza prodigiosa di una regista in lotta con il mondo. 
Storico il suo discorso-fiume quando ha ritirato il premio a Cannes: militante, cazzuto, un po' esagerato, anche un po' troppo lungo, ma pieno di sincerità ed entusiasmo. Una vera boccata d'aria fresca in mezzo a tutti gli speech sempre più standardizzati.
La prima cosa che ha fatto salendo sul palco, è stato ringraziare il suo produttore. Utilizzando una frase del suo stesso film, gli ha urlato: Merci Marc, t'as du clito! (Grazie Marc, hai del clitoride!).
In effetti, di avere soltanto le palle, non se ne può proprio più!   

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