mercoledì 21 marzo 2012

Terraferma

Qualche sera fa, grazie à l’amie d’un ami (come nei film di Rohmer), ho potuto assistere all’anteprima parigina dell’ultimo film di Crialese, Terraferma, al Cinéma des Cinéastes.
La cosa interessante è che Crialese stesso (insieme agli attori principali Donatella Finocchiaro e Filippo Pucillo) era presente in sala, e alla fine del film ha risposto alle domande di Jean-Jacques Beineix (il regista, per intenderci, di Diva e 37°2 le Matin/Betty Blue) e del pubblico. 

Avevo molto amato i precedenti film di questo regista siciliano, Respiro e Nuovo Mondo (soprattutto quest’ultimo, per la verità), ed ero davvero curiosa di vedere Terraferma, perché avevo sentito pareri piuttosto discordanti sul film.
Terraferma affronta il non facile tema dell’immigrazione clandestina in Italia e in particolare dello sbarco di centinaia di africani in fuga dalla Libia e paesi limitrofi sull’isola di Lampedusa. Tema, purtroppo, che continua ad essere di grande attualità in Italia. Luogo prediletto dal regista (già Respiro era ambientato qui), l’isola e la sua bellezza selvaggia hanno un ruolo da protagonista, anche se al centro della storia c’è una famiglia: il nonno Ernesto, vecchio pescatore, suo nipote Filippo, sua nuora Giulietta (madre di Filippo e vedova di uno dei figli di Ernesto, morto in mare), e suo figlio Nino. Per arrivare a fine mese, la famiglia fa quello che può: Ernesto, aiutato da Filippo, esce in barca a pescare, Nino gestisce con la moglie un chiosco su una spiaggia e Giulietta affitta la casa ai turisti (andando a vivere con il figlio in un garage reso più o meno abitabile). Un giorno, mentre sono in mare, Ernesto e Filippo salvano alcuni africani scappati da un barcone. Tra di loro, c’è una donna incinta accompagnata da un altro figlio piccolo. La decisione, da parte di Ernesto, di nasconderla e di aiutarla, obbligherà tutta la famiglia ad affrontare, loro malgrado, il dramma dei profughi.
Con un tema come questo, scadere nel patetico, dire delle banalità, scivolare nella docu-fiction da isola dei non-famosi, è veramente un attimo. E infatti un po' temevo. Invece niente di tutto questo, anzi. Forse perché, nella sua storia, Crialese riesce a dare il giusto spazio e la giusta voce a tutti. Fa capire le ragioni e la filosofia di vita dei vecchi pescatori (parecchio buon senso, poche parole e tanti fatti), la spregiudicatezza che viene dal bisogno delle nuove generazioni (perfettamente incarnata da Nino), il desiderio di una vita migliore per lei e il figlio di Giulietta e la disperazione e il coraggio di una donna che affronta l’inaffrontabile per abbandonare una terra di povertà e desolazione e raggiungerne una che sembra (almeno sulla carta) un sogno. Ognuno ha pari dignità e pari umanità, in questo film, ognuno incarna una buona ragione per la quale lottare, disperarsi e compiere errori. La regia di Crialese è potentissima. Dà spazio ai volti, che sono così forti ed espressivi da non avere quasi bisogno di parole, dà spazio alla natura, al mare, ed è capace di mischiare le carte in tavola in maniera impressionante, come nella scena del barcone carico di turisti che ballano e bevono in un desiderio quasi ridicolo di divertimento ad ogni costo che al momento di buttarsi in acqua ricordano tanto da vicino i disperati che si buttano dai barconi per cercare di raggiungere la riva e la salvezza. 
Il cast si dimostra all’altezza della situazione. Donatella Finocchiaro è una donna del sud forte e sensuale, come la Loren nei suoi tempi migliori (le basta stare seduta su una sedia a fissare il sole con un abitino a fiori per dare dei punti alle modelle delle campagne pubblicitarie di Dolce&Gabbana), Filippo Pucillo (l’Antoine Doinel di Crialese, gli fa fare film da quando ha 9 anni) è talmente naturale e vero che con uno sguardo alla macchina da presa è capace di sconvolgere anche l'animo più insensibile, e la giovane attrice africana Timnit T. (che ha vissuto sulla sua pelle la storia che qui si racconta) è di rara e profonda dignità.
Il dibattito seguito al film è stato lungo e appassionante. Il regista, che ha sfoggiato a sorpresa un ottimo francese, ha parlato con piacere dell'esperienza di girare il film sull'isola di Lampedusa, dove la troupe ha passato diversi mesi, degli inizi difficili della sua carriera (è stato un emigrante "clandestino" a New York), dei temi che gli sono cari, del suo amore per la Francia, a cui deve praticamente il fatto di poter continuare a fare il regista (è stato grazie al successo di Respiro qui che sono arrivati i soldi per girare le altre sue pellicole) e infine della deprimente situazione del cinema italiano. 
Dopo il dibattito, nell'atrio del cinema avevano allestito un piccolo buffet italiano con tanto di Prosecco. E' stato lì che ho avuto modo di scambiare qualche parola con Donatella Finocchiaro, che da vicino, se possibile, è ancora più bella che sullo schermo, oltre ad essere una persona piacevolissima. Un'attrice bella, brava e simpatica. Si può forse chiedere di più?
Zazie e Donatella Finocchiaro - Photo by Jacques Koubi
Terraferma mi ha fatto pensare, anche se con uno stile completamente diverso, a Le Havre di Kaurismaki. Ho davvero apprezzato il fatto che questi due registi non abbiano avuto paura di affrontare di petto, ciascuno a suo modo, un soggetto dal quale la maggior parte dei loro colleghi sarebbe scappato a gambe levate. Il coraggio, alla fine, dovrebbe sempre essere premiato. 
Al cinema, come sulla terraferma. 

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